Siamo così abituati a credere alle nostre stesse illusioni che facciamo fatica a restare oggettivi.
Abbiamo smesso di sentire il corpo, trascurando i suoi segnali a favore di ciò che consideriamo prioritario, e, in questo modo, ci siamo allontanati da quel filtro così importante per mantenere i piedi ben radicati a terra.
Veleggiamo vuoti tra le nuvole, sospesi in mezzo alle maschere e agli attori delle nostre illusioni, recitando la parte che riteniamo più funzionale.
Uno, nessuno, centomila. Ondeggiamo da una parte all'altra senza sosta, insoddisfatti, arrabbiati, tristi, demotivati.
E quando la realtà irrompe con durezza a squarciare il velo collassiamo e, senza arrenderci, tentiamo di ripararlo, una volta ancora.
La realtà non ci piace e forse anche noi non ci siamo mai piaciuti.
Il web ci ha offerto la possibilità di navigare nell'illusione e così la rete si è trasformata in un mercato libero dove manifestare emozioni e frustrazioni senza limiti, dove esplorare ciò che ci aggrada e cancellare ciò con cui non vogliamo confrontarci. Dove l'altro assume la forma delle nostre aspettative, non esistendo di per sé, ma solo per l'immagine che noi gli incolliamo addosso.
Il velo dell'illusione si ispessisce ogni giorno un po' di più e la stanchezza si amplifica con il nostro lento svaporare.
Nell'immobilità e nella chiusura abbiamo dimenticato il corpo: troppo indaffarati a vagare con la mente cercando di sopravvivere a noi stessi. E invece di andare dentro siamo finiti in rete riempiendo il nostro contenitore fisico di emozioni e informazioni, per poi scappare dal suo peso in una bolla illusoria di invulnerabilità e controllo.
Sospiro e osservo. Osservo e respiro. Respiro e ascolto. Ascolto e accolgo. Accolgo e vedo. Vedo e allungo le mani. Allungo le mani e tocco il limite del mio sguardo.
Da qualche parte bisogna pur iniziare.
Nulla dura per sempre.
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