Non so quale strano meccanismo si instauri, ma una cosa è certa: quando si parla di femminile si scatena una malcelata aggressività. Aggressività più manifesta rispetto al passato forse per la mancanza di freni inibitori determinata dal traboccare della frustrazione maturata in periodo Covid.
L’uomo è naturalmente portato ad esternare la propria rabbia convinto che l’espressione della stessa ne riduca l’intensità. Ovviamente la rabbia deve scaricarsi su soggetti più vulnerabili perché questa giustificazione mentale possa funzionare: puoi scaricare la tua immondizia addosso a qualcun altro solo a patto che chi la riceve sia considerato una discarica dalla società. L’unirsi in branco in uno sbrodolamento di aggressività condivisa diminuisce il senso di colpa e acuisce la percezione di essere socialmente autorizzati ad agire.
A farne le spese le categorie da sempre più stigmatizzate. O le categorie che cercano di uscire dagli schemi. Per quanto riguarda le donne, scrollarsi di dosso canoni di bellezza, modi di vestire, ruoli e doveri determinati da secoli di pregiudizi non è semplice. E’ un percorso tutto in salita lungo il fiume dell’anticonformismo alla ricerca di una libertà individuale determinata dal sentire interiore e non dalle possibilità esterne di espressione.
La trasformazione richiede sempre un’opera di distruzione del conosciuto per poter ricostruire il nuovo su fondamenta più solide. E questo passaggio non è mai indolore.
Guardare alle cose cambiando prospettiva è sempre segnale di grande coraggio.
#Leilaunastoriacometante
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