Con l'arrivo dell'autunno, i boschi dai mille colori e i tappeti di foglie che accompagnano le nostre passeggiate, l'invito al lasciarsi andare è specchiato tutto intorno a noi dal meraviglioso universo naturale.
Se osserviamo una quercia con attenzione vi noteremo foglie ancora verdi, foglie ingiallite e foglie secche pronte a staccarsi. La quercia affronta il processo del lasciar andare con pacata gradualità, tanto da rimanere completamente spoglia solo all'inizio della primavera con il riemergere dei nuovi germogli. Nel mio giardino ho una grande e amatissima quercia che per tutto l'autunno e l'inverno non smette di insegnarmi il lasciar andare e il rispetto verso la maturazione di questo passaggio: ogni giorno per mesi raccolgo le sue foglie, le ammucchio e attendo che la natura le trasformi in fertilizzante per i campi. E mentre svolgo questa attività medito sulla mia capacità di fare lo stesso con tanta naturalezza.
Perchè lasciarsi andare o lasciar andare qualcosa non è affatto facile per noi umani amanti della razionalizzazione e del controllo.
Prendo spunto da un interessante libricino che sto leggendo di Abraham J. Twerski: "Sveglia Charlie Brown! Come affrontare gli alti e bassi della vita con i Peanuts" edito Oscar Mondadori.
Scrive Twerski: "Ecco qui una buona regola pratica: se c'è qualcosa che causa un problema, è un problema. Convincerci che non lo sia, fa solamente sì che il problema continui il suo corso. Cos'è la razionalizzazione? Consiste nell'inventare buone ragioni invece di ammettere le vere ragioni. La razionalizzazione è così comune che se smettessimo di razionalizzare, il silenzio diventerebbe insopportabile. Non solo razionalizziamo quando parliamo con altre persone per dar loro giustificazioni logiche del perchè abbiamo o non abbiamo fatto una cosa, ma razionalizziamo anche in modo silenzioso e interiormente. Spesso non siamo neanche coscienti che stiamo razionalizzando."
Già. E siamo eccellenti creatori di giustificazioni quando non vogliamo lasciar andare un'immagine di noi stessi a cui siamo affezionati e non ci appartiene più, o un'abitudine o una relazione che ci rende la vita difficile e ci obbliga alla sopravvivenza. Perchè lasciar andare qualcosa che si conosce fa sempre molta paura. Meglio inventarsi mille motivi per mantenere lo status quo o negare la realtà delle cose.
Continua Twerski: "A volte le nostre vite, o alcuni aspetti di esse, diventano incontrollabili e tuttavia ci mostriamo ostinati e restii a cambiare. Perseveriamo nel nostro comportamento autodistruttivo. Spesso ci si riferisce a questo tipo di atteggiamento come alla "paura del successo". Perchè si dovrebbe temere il successo? Non è più logico preferire il successo al fallimento? La risposta è che per quanto possa essere spiacevole una sconfitta, essa ha un aspetto compensatorio. La sconfitta in generale ci evita le responsabilità, mentre il successo tende a generare nuove responsabilità. Se falliamo in un compito, non ci verrà richiesto niente di più e allo stesso tempo diminuiscono le nostre stesse aspettative su di noi. Se abbiamo successo si pretenderà che continuiamo così".
Quando ieri sera ho letto queste parole non ho potuto fare a meno di assimilarle e pensare alla mia esperienza personale considerando l'imminente pubblicazione di Leila. Il successo mi ha sempre fatto paura, ragion per cui potete immaginare l'impatto della riflessione di Twerski su di me.
Dopo l'uscita de "Il ritmo del corpo" con Mediterranee, il mio editore insistette perchè scrivessi il seguito de "Il coraggio di ascoltarsi". Il mio primo libro aveva ottenuto un ottimo riscontro dal pubblico e una seconda pubblicazione in questa direzione avrebbe facilmente avuto la strada spianata verso il successo. Non ci riuscii. Ci provai infinite volte, ma senza riuscirvi. Avevo materiale e idee in abbondanza per poterlo fare in quanto dalla pubblicazione del Coraggio il mio percorso si era arricchito di tante nuove esperienze e consapevolezze. Eppure qualcosa mi spingeva altrove.
Leggendo Twerski è stato naturale domandarmi se a direzionare il mio cambio di rotta fossero le aspettative che altri riponevano in me o la paura del successo. Forse entrambi. O forse no. Non ho mai scritto con l'intento di scalare le classifiche, ma perchè la gioia della realizzazione nel percorso era un traboccare che trovava la sua manifestazione nella condivisione.
In questi anni è stato inevitabile chiedermi le ragioni alla base della folle impresa di scrivere un romanzo. Mediterranee non pubblica romanzi e avrei dovuto ricominciare da zero rinunciando alle entrature che avevo a disposizione. Stavo inevitabilmente virando verso il mondo dello sconosciuto e delle infinite possibilità.
La grande quercia, nel suo maestoso silenzio, mi rimandava il tacito messaggio della maturazione del lasciar andare e quando una notte la luna mi sussurrò "Buttati" iniziai a scrivere Leila e non smisi più fino al momento in cui la terminai. Ed oggi, che grazie a Giancarlo Caselli, e Golem Edizioni ho il romanzo tra le mani sento di aver seguito il cuore al di là di tutte le pippe mentali.
Sono pronta ad assumersi la responsabilità di questa nuova pubblicazione? Sì.
Ancora una volta ho trovato il coraggio di ascoltarmi e di non aver paura a fare il mitico salto nel vuoto.
#Leilaunastoriacometante #Ilcoraggiodiascoltarsi
Foto Donatella Coda Zabetta - La grande Maestra
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