Oggi riflettevo sui numeri.
Fin da subito ce li siamo trovati stampati addosso: siamo nati alla tal ora del tal giorno con un peso e un'altezza ben definiti e immediatamente siamo diventati soci onorari del club dei bimbi paffutelli o di quelli mingherlini. Siamo cresciuti vestendo abiti che non sempre corrispondevano alla nostra età e utilizzando giochi studiati apposta su di essa. Abbiamo iniziato la scuola e ci siamo iscritti di diritto ai diversi club definiti dal rendimento scolastico. Il nostro tempo ha iniziato a correre e ad essere scandito dagli impegni (scuola, piscina, amici, giochi, tennis, piano, disegno...) e da ulteriori club di appartenenza.
Alle medie ci siamo arrivati osservando la moltiplicazione dei numeri e dei professori e in terza la nostra autostima galleggiava ancorata al peso dei voti che avrebbero decretato le scuole a cui avremmo potuto aspirare.
Alle superiori il biennio ci ha visti arrancare in cerca di un'identità per prepararci al massacro annunciato del triennio e così dopo 5 anni, 18 anni compiuti e un sacco di etichette accumulate ci siamo guardati intorno confusi.
Qualcuno ha scelto di accumulare numeri universitari, qualcun altro ha iniziato a veleggiare nel mondo del lavoro tra contratti di formazione, a tempo determinato, part time, liste di disoccupazione.
E a quel punto i numeri accumulati e archiviati in ricolme valigie dalle mille etichette hanno iniziato a pesare irrimediabilmente sulle nostre vite declamandone successi, fallimenti, ferite, fragilità, paure.
E ci siamo abituati a viaggiare con le valigie al seguito.
Poi un giorno, uno speciale, di quelli dal numero indimenticabile, abbiamo scelto di viaggiare leggeri senza numeri a definirci: di colpo ci siamo sentiti nudi.
Ci siamo guardati, ci siamo chiesti chi siamo, al di là delle etichette accumulate negli anni, e non ci siamo più visti.
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