Non è semplice affrontare i passaggi/blocchi nel percorso verso la consapevolezza. Richiede tempo, pazienza, dedizione, forza interiore e grande umiltà.
Ho iniziato a lavorare al passaggio che sto per completare più di un anno fa. Un anno faticoso sia interiormente sia esteriormente. Quando si è tutti ingarbugliati dentro si vorrebbe armonia intorno, ma non è mai così: la realtà specchia sempre la nostra interiorità per permetterci di lavorare su noi stessi a 360° e questo allineamento rende l'opera quanto mai ardua. All'inizio del passaggio ci si sente irrequieti, si ha la percezione che qualcosa debba trovare una dimensione diversa, ma allo stesso tempo non si ha chiarezza.
Quando si va in montagna si deve scegliere la camminata da fare e il suo grado di difficoltà e lo si fa con fiducia nelle proprie forze e nella propria esperienza.
Personalmente prediligo sempre i sentieri più impegnativi, deve essere una caratteristica della mia natura scorpionica, così scarponcini ai piedi, energia ed entusiasmo e si parte.
La cima non appare neanche all'orizzonte, ma il viaggio in fondo rappresenta la vera crescita.
Mi piace l'idea della montagna a scalare dimensioni più sottili, mentre l'opera si svolge in profondità all'interno di sè in una continua alternanza di stimoli a procedere e resistenze psicologiche. La consapevolezza deve sempre mantenersi attiva, perchè l'intervento di reazioni automatiche potrebbe dare forma ad un cammino circolare di stazionamento allo stesso livello (come quando in montagna di fronte alla propria stanchezza si sceglie il sentiero non segnato e leggermente in discesa con la speranza di diminuire la fatica e ci si ritrova ad un punto morto).
Le soste sono indispensabili a recuperare forza e centratura, ma non devono soccombere alla tentazione di cedere alla resistenza che ci caratterizza (debolezze, paure, emozioni negative).
Quando si è in passaggio capitano spesso momenti di immobilità ed accoglierli senza arrendersi ad essi richiede molta fiducia.
Avete presente quando in montagna si è affrontata una parete particolarmente faticosa e se ne presenta subito un'altra? La stanchezza è tanta e i dubbi proliferano insieme ai pensieri negativi.
Sono i momenti di svolta: l'importante è rimanere aperti e percettivi perchè proprio quando ci sembra di esserci arenati, compare nel gioco delle due forze (attività e passività), la terza forza, quella in grado di sbloccare la situazione e dare nuova linfa affinchè il passaggio si manifesti.
Nel percorso può trattarsi di un evento della quotidianità, di un incontro inaspettato, di parole sentite o lette o anche di qualcosa che semplicemente non si era mai notato, in grado di offrire chiarezza e conferme al fatto che si sta percorrendo la strada migliore oppure che la si sta sbagliando alla grande. In entrambi i casi è un aiuto decisivo nel muovere l'energia e renderla nuovamente operativa.
E così ci si rimette in cammino. Passo dopo passo ci si trasforma, ci si conosce sempre meglio e si diventa sempre più consapevoli.
Quando si inizia un passaggio si ha l'impressione che sia inenarrabilmente ostico, il peggiore tra tutti (ogni passaggio è sempre commisurato alle nostre forze!) perchè le resistenze che ci caratterizzano si parano innanzi a noi come un vero plotone di esecuzione. Alla fine del viaggio ci rendiamo conto che si è trattato di una grande avventura, impegnativa, ma abbordabile e nella mente si nutre l'illusione di potersi godere la realizzazione almeno per un po', prima di dover scalare una nuova montagna.
Non capita quasi mai e il cuore lo sa. Ogni fine è sempre un nuovo inizio. E che la bellezza del viaggio ci sia compagna.
Ho iniziato a lavorare al passaggio che sto per completare più di un anno fa. Un anno faticoso sia interiormente sia esteriormente. Quando si è tutti ingarbugliati dentro si vorrebbe armonia intorno, ma non è mai così: la realtà specchia sempre la nostra interiorità per permetterci di lavorare su noi stessi a 360° e questo allineamento rende l'opera quanto mai ardua. All'inizio del passaggio ci si sente irrequieti, si ha la percezione che qualcosa debba trovare una dimensione diversa, ma allo stesso tempo non si ha chiarezza.
Quando si va in montagna si deve scegliere la camminata da fare e il suo grado di difficoltà e lo si fa con fiducia nelle proprie forze e nella propria esperienza.
Personalmente prediligo sempre i sentieri più impegnativi, deve essere una caratteristica della mia natura scorpionica, così scarponcini ai piedi, energia ed entusiasmo e si parte.
La cima non appare neanche all'orizzonte, ma il viaggio in fondo rappresenta la vera crescita.
Mi piace l'idea della montagna a scalare dimensioni più sottili, mentre l'opera si svolge in profondità all'interno di sè in una continua alternanza di stimoli a procedere e resistenze psicologiche. La consapevolezza deve sempre mantenersi attiva, perchè l'intervento di reazioni automatiche potrebbe dare forma ad un cammino circolare di stazionamento allo stesso livello (come quando in montagna di fronte alla propria stanchezza si sceglie il sentiero non segnato e leggermente in discesa con la speranza di diminuire la fatica e ci si ritrova ad un punto morto).
Le soste sono indispensabili a recuperare forza e centratura, ma non devono soccombere alla tentazione di cedere alla resistenza che ci caratterizza (debolezze, paure, emozioni negative).
Quando si è in passaggio capitano spesso momenti di immobilità ed accoglierli senza arrendersi ad essi richiede molta fiducia.
Avete presente quando in montagna si è affrontata una parete particolarmente faticosa e se ne presenta subito un'altra? La stanchezza è tanta e i dubbi proliferano insieme ai pensieri negativi.
Sono i momenti di svolta: l'importante è rimanere aperti e percettivi perchè proprio quando ci sembra di esserci arenati, compare nel gioco delle due forze (attività e passività), la terza forza, quella in grado di sbloccare la situazione e dare nuova linfa affinchè il passaggio si manifesti.
Nel percorso può trattarsi di un evento della quotidianità, di un incontro inaspettato, di parole sentite o lette o anche di qualcosa che semplicemente non si era mai notato, in grado di offrire chiarezza e conferme al fatto che si sta percorrendo la strada migliore oppure che la si sta sbagliando alla grande. In entrambi i casi è un aiuto decisivo nel muovere l'energia e renderla nuovamente operativa.
E così ci si rimette in cammino. Passo dopo passo ci si trasforma, ci si conosce sempre meglio e si diventa sempre più consapevoli.
Quando si inizia un passaggio si ha l'impressione che sia inenarrabilmente ostico, il peggiore tra tutti (ogni passaggio è sempre commisurato alle nostre forze!) perchè le resistenze che ci caratterizzano si parano innanzi a noi come un vero plotone di esecuzione. Alla fine del viaggio ci rendiamo conto che si è trattato di una grande avventura, impegnativa, ma abbordabile e nella mente si nutre l'illusione di potersi godere la realizzazione almeno per un po', prima di dover scalare una nuova montagna.
Non capita quasi mai e il cuore lo sa. Ogni fine è sempre un nuovo inizio. E che la bellezza del viaggio ci sia compagna.
Nessun commento:
Posta un commento