Oman.
Salalah.
Il
mare lambisce il deserto. Non c’è vegetazione, se non radi cespugli, a colorare
una distesa sconfinata di sabbia bianca: i dromedari vi passeggiano liberamente
alla ricerca di cibo.
Sullo
sfondo l’altopiano, brullo anch’esso. E il silenzio.
Amo
questo paesaggio che rappresenta in modo così evidente il dualismo di terra e
acqua.
Non
c’è vegetazione. Non c’è integrazione tra i due elementi.
Un
terzo elemento, il fuoco entra in gioco ad alterarne l’equilibrio.
Il
calore del sole, unitamente all’assenza di precipitazioni, inaridisce il
paesaggio invernale. Le piogge monsoniche, unitamente alle temperature
altissime, lo risvegliano sopra i 600 metri di altitudine, ma a bassa quota il
fuoco desertifica la terra.
La
flessibilità dell’acqua vivifica la materia, travolgendola, quando l’intensità
del fuoco non la brucia.
Le
onde dell’Oceano Indiano si infrangono a riva, alte e dirompenti: sembrano
rispecchiare la forza incontrollata degli elementi quando si incontrano.
I
dromedari indicano la via per la sopravvivenza: riserve individuali e
frugalità.
Ci
si deve bastare, accontentandosi del poco che è a disposizione.
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