Di fronte ad una situazione che minaccia il nostro benessere, le reazioni possono essere molto differenti. C'è chi sbotta come un vulcano in eruzione e chi si chiude a riccio trasformando l'ostilità in implosione. Non vi è elaborazione, ma re-azione: si mette cioè in atto automaticamente il comportamento a cui si è abituati. In entrambi i casi è sotteso un sentimento di ribellione non ancora elaborato proprio per il suo potere di dirigere il nostro comportamento: è differente solo il modo di manifestarlo. I binari che seguiremo sono sempre gli stessi, a variare sarà solo la direzione che intraprenderemo per mettere a tacere quello che proviamo.
Non è facile rompere uno schema quando un interruttore interno innesca automaticamente l'accensione, ma, se lo si vuole veramente, lo si può fare, per stare meglio con se stessi. In fondo il benessere nasce dall'accettazione di sé. E la capacità di elaborare la rabbia per lasciarla andare senza distruggere qualcuno o autodistruggersi è uno strumento consapevole molto importante per uno stato di armonia.
Solitamente controlliamo la rabbia, perché quando l'abbiamo espressa, magari da bambini, ci hanno ripreso e ci hanno fatto sentire sbagliati o ci hanno urlato ancora più forte o ci hanno insegnato che non sta bene, per educazione. E così ce la trasciniamo dietro fino a saturazione, per poi sbottare o implodere per sfinimento.
Come una pentola a pressione con l'acqua in piena ebollizione: alziamo il coperchio, lasciamo uscire un po' di vapore e richiudiamo il tutto. Pericolo scampato, ma pur sempre presente. Forse dovremmo provare a osservare la fiamma sotto la pentola, invece di mantenerci in uno stato perenne di tensione.
Vedere quella fiamma significa accettare che una grande energia ci appartiene e quando non ci permettiamo o non ci permettono di manifestarla proviamo rabbia. La rabbia è un'emozione naturale che evidenzia uno stato di disagio e in qualche modo ci rende consapevoli che è necessario un cambiamento per stare bene. Infatti, se qualcosa ci infastidisce al punto da scatenare una rabbia furibonda e quindi un'evidente reazione di difesa, ha a che fare con una debolezza o paura che preferiremmo non avere o quanto meno non vedere. La paura di essere chi siamo, cioè quel fuoco interiore (sì propio quello sotto la pentola) che spinge per venire alla Luce, ma si trova a fare i conti con dei binari prefissati (il coperchio e la pentola) e si trasforma in un'energia compressa (acqua in ebollizione continua) e incontrollabile. Se noi ci identifichiamo con l'acqua ci troveremo a fare i conti con il calore che ci fa ribollire e con la pentola sentendoci in un mare di guai. Se ci identifichiamo con il fuoco e osserviamo che effetto ci fa il trattenere o comprimere, sarà semplice comprendere che se non togliamo il coperchio non saremo mai in grado di dire la nostra senza scoppiare prima per sfinimento. Vivremo controllando la nostra vita e dando spazio a fugaci sfuriate o implosioni per continuare a sopravvivere.
Dov'è la creatività in tutto questo? Dov'è quel fuoco? Dov'è il fluire della vita?
Se non facciamo attenzione e sbagliamo il momento fatidico del sollevamento coperchio, finirà che l'acqua traboccherà spegnendo il fuoco e trasformandoci in una bella pentola d'acciaio piena d'acqua gelata.
Solitamente controlliamo la rabbia, perché quando l'abbiamo espressa, magari da bambini, ci hanno ripreso e ci hanno fatto sentire sbagliati o ci hanno urlato ancora più forte o ci hanno insegnato che non sta bene, per educazione. E così ce la trasciniamo dietro fino a saturazione, per poi sbottare o implodere per sfinimento.
Come una pentola a pressione con l'acqua in piena ebollizione: alziamo il coperchio, lasciamo uscire un po' di vapore e richiudiamo il tutto. Pericolo scampato, ma pur sempre presente. Forse dovremmo provare a osservare la fiamma sotto la pentola, invece di mantenerci in uno stato perenne di tensione.
Vedere quella fiamma significa accettare che una grande energia ci appartiene e quando non ci permettiamo o non ci permettono di manifestarla proviamo rabbia. La rabbia è un'emozione naturale che evidenzia uno stato di disagio e in qualche modo ci rende consapevoli che è necessario un cambiamento per stare bene. Infatti, se qualcosa ci infastidisce al punto da scatenare una rabbia furibonda e quindi un'evidente reazione di difesa, ha a che fare con una debolezza o paura che preferiremmo non avere o quanto meno non vedere. La paura di essere chi siamo, cioè quel fuoco interiore (sì propio quello sotto la pentola) che spinge per venire alla Luce, ma si trova a fare i conti con dei binari prefissati (il coperchio e la pentola) e si trasforma in un'energia compressa (acqua in ebollizione continua) e incontrollabile. Se noi ci identifichiamo con l'acqua ci troveremo a fare i conti con il calore che ci fa ribollire e con la pentola sentendoci in un mare di guai. Se ci identifichiamo con il fuoco e osserviamo che effetto ci fa il trattenere o comprimere, sarà semplice comprendere che se non togliamo il coperchio non saremo mai in grado di dire la nostra senza scoppiare prima per sfinimento. Vivremo controllando la nostra vita e dando spazio a fugaci sfuriate o implosioni per continuare a sopravvivere.
Dov'è la creatività in tutto questo? Dov'è quel fuoco? Dov'è il fluire della vita?
Se non facciamo attenzione e sbagliamo il momento fatidico del sollevamento coperchio, finirà che l'acqua traboccherà spegnendo il fuoco e trasformandoci in una bella pentola d'acciaio piena d'acqua gelata.
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