Estratto da "Il Libro Rosso" di Jung:
"Non che il vivere con il proprio Sé sia bello o piacevole, ma questo serve alla redenzione del Sé. Del resto, è possibile abbandonare se stessi? In tal modo si diventa schiavi di se stessi. E questo è il contrario dell'accettare il Sé. Se si diventa schiavi di se stessi - il che accade a chiunque abbandoni se stesso - si viene vissuti dal Sé. Non si vive il proprio Sé; quest'ultimo vive se stesso.
La virtù ignara di se stessa è un'innaturale alienazione della propria essenza, che in tal modo viene privata della maturazione. E' un peccato alienare l'Altro dal proprio Sé facendo valere la propria virtuosità, per esempio addossandosi il suo fardello. Questo peccato si ripercuote su di noi.
La sottomissione è già sufficiente, ampiamente sufficiente, se noi ci sottomettiamo al nostro Sé. L'opera di redenzione, semmai fosse lecito pronunciare questa parola così grande, va sempre praticata anzitutto su noi stessi. Senza amore verso noi stessi quest'opera non può essere realizzata. Ma va poi realizzata davvero?
Ovviamente no, se si è in grado di sopportare l'attuale situazione e non si avverte il bisogno di redenzione. Alla fine, il gravoso sentimento di aver bisogno di redenzione può diventare nauseante. Allora si cerca di liberarsene, e in questo modo si finisce nell'opera di redenzione. "
Oggi ho scelto di postare un passaggio di Jung molto prezioso per la sua valenza liberatoria e allo stesso tempo fonte di comprensione. Riguarda la presa di coscienza, ed il processo ad essa collegato, di accettazione di noi stessi. Non tutti ne sentono l'esigenza per cui evidenzia l'importanza di una spinta interiore a percorrere la via verso la consapevolezza. Spinta interiore che prende vita naturalmente da un senso di inquietudine e di disagio generalizzato che induce l'essere a ricercare comprensione al sentire. Addentrandosi in questa ricerca ci si imbatte quasi subito nelle proprie debolezze e paure, dalle quali si tende inconsciamente a fuggire per evitare il malessere da esse generato, e si realizza quanto questo rifiuto crei degli spazi vuoti dentro di noi. Ben presto si comprende che il dolore scaturisce dal vuoto e non dalla debolezza o dalla paura che ci appartiene. Perché non è possibile abbandonare se stessi senza dare potere a ciò che si rifiuta, diventandone conseguentemente schiavi (l'estrema vulnerabilità al giudizio emerge proprio da questa attitudine inconsapevole). Questa comprensione stimola l'opera di redenzione che può realizzarsi solo grazie all'amore verso se stessi.
Ovviamente no, se si è in grado di sopportare l'attuale situazione e non si avverte il bisogno di redenzione. Alla fine, il gravoso sentimento di aver bisogno di redenzione può diventare nauseante. Allora si cerca di liberarsene, e in questo modo si finisce nell'opera di redenzione. "
Oggi ho scelto di postare un passaggio di Jung molto prezioso per la sua valenza liberatoria e allo stesso tempo fonte di comprensione. Riguarda la presa di coscienza, ed il processo ad essa collegato, di accettazione di noi stessi. Non tutti ne sentono l'esigenza per cui evidenzia l'importanza di una spinta interiore a percorrere la via verso la consapevolezza. Spinta interiore che prende vita naturalmente da un senso di inquietudine e di disagio generalizzato che induce l'essere a ricercare comprensione al sentire. Addentrandosi in questa ricerca ci si imbatte quasi subito nelle proprie debolezze e paure, dalle quali si tende inconsciamente a fuggire per evitare il malessere da esse generato, e si realizza quanto questo rifiuto crei degli spazi vuoti dentro di noi. Ben presto si comprende che il dolore scaturisce dal vuoto e non dalla debolezza o dalla paura che ci appartiene. Perché non è possibile abbandonare se stessi senza dare potere a ciò che si rifiuta, diventandone conseguentemente schiavi (l'estrema vulnerabilità al giudizio emerge proprio da questa attitudine inconsapevole). Questa comprensione stimola l'opera di redenzione che può realizzarsi solo grazie all'amore verso se stessi.
Nessun commento:
Posta un commento